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La ELR è molto lieta di annoverare questa intervista con Gino Roncaglia tra le interviste della serie #ELRPUB. I lettori della ELR lo hanno conosciuto attraverso la serie #ELRFEAT nella quale appoiono l’intervista con George Landow e l’intervista con David Kolb. Le constatazioni di Roncaglia si basano su una lunga esperienza in ambito accademico, ma anche come collaboratore e cofondatore di importanti progetti com Liber Liber e Progetto Manuzio. Le sue osservazioni sulla storia, sul mercato e sull’utilizzo dei nuovi media in ambito scolastico arricchiscono la serie #ELRPUB con validi argomenti e nuove idee.
ELR: Gino Roncaglia da quasi 20 anni lavori come docente universitario presso l’Università della Tuscia nell’ambito dell’editoria digitale dell’e-learning. Come è nato l’interesse per l’utilizzo della tecnologia informatica nell’editoria e nella didattica?
Gino Roncaglia: L’interesse per l’informatica è nato durante gli studi universitari. Mi sono laureato in filosofia, con una tesi legata a temi di storia della logica; professore di logica alla Sapienza – e poi correlatore della mia tesi – era Carlo Cellucci, un docente bravissimo, all’epoca molto interessato alla programmazione logica. Per i suoi corsi ho cominciato a studiare alcuni linguaggi di programmazione (LISP, PROLOG, C…) e a usare i primi computer (all’università c’era un PET CBM, mentre personalmente ho avuto prima un Sinclair ZX 81, poi un Commodore 64 e un Amiga 1000). Indirizzare l’interesse per l’informatica verso i campi dell’editoria e della didattica è stato poi abbastanza naturale, dato che di libri ed editoria mi sono sempre occupato, anche per imprinting familiare. A casa abbiamo sempre letto tutti moltissimo, e la stessa passione per l’insegnamento è un tratto di famiglia: sia mio padre sia mio fratello erano professori universitari, mentre mia madre insegnava italiano e storia nelle superiori.
ELR: Nel 1993 hai fondato insieme a Marco Calvo, Paolo Barberi, Fabio Ciotti e Marco Zela l’associazione culturale Liber Liber dedita alla condivisione e alla diffusione del sapere on-line. Come si è sviluppato il Progetto Manuzio che prende il nome dal noto tipografo veneziano Aldo Manuzio?
Gino Roncaglia: Il progetto è nato nel 1993 su MC-Link, che all’epoca era un BBS (Bulletin Board System) soprattutto romano, da uno scambio di mail fra Pieralfonso Longo e Marco Calvo sul progetto Gutenberg, il precursore diretto del progetto Manuzio, avviato già una ventina di anni prima da Michael Hart negli Stati Uniti. All’inizio degli anni ’90 Fabio Ciotti stava lavorando con Giuseppe Gigliozzi, uno dei pionieri dell’informatica umanistica italiana, scomparso purtroppo prematuramente, a una tesi di laurea legata a progetti di digitalizzazione di alcuni testi letterari; si è trattato dei primi testi messi a disposizione del progetto. Il mio contributo è stato inizialmente limitato a un suggerimento per far conoscere e finanziare l’iniziativa: tenere presso una sede ARCI dei corsi sull’uso di Internet, che esisteva da tempo ma di cui in Italia si cominciava appena a parlare. I corsi sono stati un successo, e dalle dispense di quei corsi è nata la prima edizione di un manuale – Internet ’96 – che la Laterza (assumendosi qualche rischio: all’epoca l’argomento era strettamente per addetti ai lavori…) accettò di pubblicare. Quel manuale ha poi conosciuto sei diverse edizioni e svariate ristampe, vendendo complessivamente circa settantacinquemila copie. L’idea dei corsi fu discussa in una birreria di San Lorenzo, se non sbaglio eravamo appunto Marco Calvo, Paolo Barberi, Fabio Ciotti, Marco Zela ed io, nella stessa occasione in cui decidemmo di dar vita all’associazione Liber Liber.
Personalmente, pensavo che il Progetto Manuzio potesse essere utile soprattutto per far capire le potenzialità del digitale; immaginavo però che sarebbe stato presto affiancato e progressivamente sostituito da progetti di digitalizzazione più ampi gestiti da università, biblioteche e centri di ricerca. Non avrei mai pensato che potesse sopravvivere venticinque anni. Il fatto che il progetto Manuzio sia ancora attivo e largamente utilizzato rappresenta un risultato davvero notevole: merito di Marco Calvo, che ha continuato a seguirlo; ma anche testimonianza di un persistente ritardo del paese rispetto alla digitalizzazione dei testi del nostro patrimonio culturale.
ELR: Quest’anno ha i pubblicato un libro intitolato “L’età della frammentazione. Cultura del libro e scuola digitale“. Di cosa si tratta?
Gino Roncaglia: Il libro discute il rapporto fra digitale, scuola e cultura del libro. Vorrebbe essere un libro in qualche misura politico e ‘militante’, perché propone delle strategie legate a quello che a me sembra oggi un bisogno formativo fondamentale: aiutare le nuove generazioni a sviluppare competenze nell’uso degli strumenti e dell’informazione digitale che non vadano solo in direzione della frammentazione, della granularizzazione, dello spacchettamento dei contenuti, ma affrontino anche il problema della loro ricomposizione in forme complesse e articolate. Le competenze legate alla gestione della complessità sono oggi spesso sacrificate in nome di quello che a me sembra un mito infondato: l’idea che il digitale sia nativamente, essenzialmente, necessariamente frammentato. Non è così: in digitale è possibile (ed è anzi necessario) realizzare anche contenuti strutturati e complessi, e le competenze legate alla gestione della complessità sono e saranno sempre più importanti nel nuovo ecosistema informativo. Alla luce di questa tesi di fondo, provo a discutere temi come l’evoluzione del web, la costruzione di nuovi ambienti di apprendimento capaci di integrare risorse e contenuti tradizionali e digitali, le metodologie per l’uso del digitale nella didattica, la funzione e il futuro dei libri di testo, il nuovo ruolo delle biblioteche scolastiche e l’idea di ‘lettura aumentata’.
ELR: Come hai vissuto personalmente il passaggio dall’editoria cartacea all’editoria digitale?
Gino Roncaglia: Ho sempre avuto moltissima curiosità per l’idea di lettura digitale, e ho cominciato molto presto a scrivere in digitale (ho sostituito la macchina da scrivere già con il Commodore 64, usando uno dei primi programmi di videoscrittura: l’ormai dimenticato PaperClip). L’idea che dispositivi digitali potessero essere usati anche per leggere era abbastanza naturale, anche se all’inizio, in assenza di dispositivi digitali delle dimensioni di un libro, la lettura in digitale era identificata con la lettura al computer. Lettura ‘lean forward’, protesa in avanti, adatta forse alle situazioni di lettura attiva e accompagnata dalla scrittura ma molto scomoda, ad esempio, per la lettura di un romanzo, che in genere avviene in modalità ‘lean back’, rilassati all’indietro. I dispositivi di lettura portatili hanno capovolto la situazione: ho provato già quelli di prima generazione, come il Rocketbook, il Gemstar, il Cybook, i REB 1100 e 1200. Gli schermi erano però ancora assai scadenti, le batterie duravano poco, i meccanismi di protezione erano un incubo (in parte, continuano ad esserlo) e la prima generazione di lettori non ha avuto molto successo. È andata meglio al Kindle e ai suoi successori; anche di quelli ho una bella collezione. Ma siamo ancora lontani dal dispositivo di lettura ideale.
ELR: Da una breve ricerca sul web sui libri elettronici risulta che la storia dell’editoria digitale inizi attorno all’anno 1993 quando due italiani, Franco Crugnola e sua moglie Isabella Rigamonti, hanno creato il primo libro elettronico e quando il poeta Zahur Klemath Zapata pubblica “L’Assassinio come una delle belle arti” di Thomas de Quincey in formato DBF (digital book format). Secondo te quando ha avuto inizio la storia dei libri digitali e quali sono alcuni dei momenti salienti della storia dell’editoria digitale?
Gino Roncaglia: Ah, a cercare date di inizio se ne trovano moltissime, ma secondo me la storia comincia molto, molto prima del 1993. In un certo senso si potrebbe dire che il primo lavoro nel campo dell’editoria digitale è stato quello, pionieristico, di Padre Busa, che nel 1949 contatta l’IBM per proporre l’uso dei calcolatori elettronici come strumento di codifica dei testi (e in particolare dei testi di Tommaso d’Aquino). Ne nasce un progetto ambizioso, l’Index Thomisticus, oggi fruibile attraverso il web e che già nel 1980 poteva vantare la digitalizzazione di 56 volumi di testi di Tommaso e di altri autori tomisti. E poi naturalmente c’è il progetto Gutenberg di Michael Hart, avviato all’inizio degli anni ’70. Come ho accennato, in Italia c’è stato il progetto Manuzio, nato nel 1993, poi gli e-book per la prima generazione di e-reader, fra il 1998 e il 2001. Fra gli altri momenti importanti possiamo ricordare la diffusione del Kindle e dei lettori basati su carta elettronica e inchiostro elettronico (a partire dal 2007: il Sony Librie è di tre anni prima ma aveva avuto scarsissimo successo), il passaggio dal formato OEBPS al suo successore, ePub2, la diffusione dei tablet (a partire dal 2010), il passaggio da ePub2 a ePub3… Come si vede ci sono sia tappe legate all’hardware dei dispositivi di lettura sia tappe legate ai formati di codifica. Ed è una storia che prosegue, sia su questi due versanti sia attraverso l’evoluzione del mercato.
ELR: Nel 1997 il Project Gutenberg, iniziato nel 1971, raggiunge il numero 1000 di libri pubblicati con l’ebook #1000 “La divina commedia” di Dante Alighieri. Come si è sviluppato il mercato e la modalità di vendita e di diffusione dei libri elettronici in questi 20 anni?
Gino Roncaglia: Il mercato si è sviluppato in modo diseguale in paesi diversi. In realtà, nonostante le aspettative (all’epoca notevoli), i primi dispositivi del periodo 1998-2001 non erano riusciti a costruire un mercato numericamente significativo: la nascita del mercato e-book avviene solo a partire dal 2007, con il lancio del Kindle; e il mercato cresce inizialmente soprattutto negli Stati Uniti, dove Amazon è una presenza già consolidata e promuove il Kindle non solo come dispositivo di lettura per libri elettronici ma anche come strumento di accesso al proprio ecosistema per la lettura (fatto anche di raccomandazioni, recensioni, sconti…). È l’ecosistema Amazon nel suo complesso a vincere la prima sfida, più che il Kindle come dispositivo specifico. Ed è soprattutto questo ecosistema che porta in pochi anni la quota di lettura digitale negli Stati Uniti attorno al 25% del mercato. L’Europa ha seguito piuttosto lentamente, e siamo ancora lontani da quelle cifre. Negli ultimi anni il mercato è comunque abbastanza fermo: la quota di lettura digitale è cresciuta assai più lentamente, e semmai è mutata la segmentazione interna della lettura digitale: in digitale si leggono sempre più libri pubblicati da editori indipendenti o autopubblicati, mentre la quota di mercato digitale dei grandi editori negli ultimi anni negli Stati Uniti è ferma se non addirittura diminuita. In Italia seguiamo a distanza, e il mercato digitale è segnato soprattutto dall’effetto di sconti e offerte speciali: solo i libri offerti a prezzi assai più bassi della carta vendono discretamente. Ma i limiti dei dispositivi di lettura – ad esempio rispetto alle annotazioni – e la gestione assai complessa delle protezioni, che impediscono il passaggio semplice di un e-book da un dispositivo all’altro, frenano la crescita. Cosa che certo non dispiace agli editori: il meccanismo delle rese li rende in Italia fortemente dipendenti dalle librerie fisiche, e gli e-book sono stati percepiti – e continuano ad essere percepiti – come un fattore che potrebbe mettere in crisi questo equilibrio. Anche per questo, gli editori hanno al momento poco interesse a stimolare la crescita del mercato dell’editoria digitale, se non in settori dalle caratteristiche molto particolari (come l’editoria accademica e scientifica).
ELR: Come vengono archiviate le opere digitali? Quali sono le strategie per la preservazione digitale?
Gino Roncaglia: Nel parlare di conservazione vanno distinte almeno tre dimensioni: l’uso del digitale come strumento di conservazione di opere nate a stampa (attraverso i processi di digitalizzazione bibliotecaria), la conservazione di breve periodo dei contenuti digitali (anche lato utente), e la conservazione di lungo periodo. Si tratta di questioni evidentemente collegate, ma ciascuna ha anche le sue specificità, che non è certo possibile analizzare in questa sede. Possiamo però dire che in tutti e tre i casi servono non solo appositi strumenti di conservazione (ad esempio, repository interoperabili) ma anche politiche adeguate: un campo sul quale siamo ancora molto indietro. Politiche di metadatazione (giacché la buona descrizione dei contenuti è una fase essenziale della conservazione), politiche di riversamento periodico dei dati (per fronteggiare l’obsolescenza dei supporti e dei formati), politiche di conservazione ridondante (giacché la possibilità di creare facilmente ridondanza è comunque il principale vantaggio del digitale in termini di conservazione).
ELR: Quali sono le differenze tra il modo di concepire l’impaginazione di un ebook in formato EPUB e quello della tipografia a stampa? Quali sono secondo te dei criteri estetici fondamentali per l’impaginazione di un ebook in formato EPUB?
Gino Roncaglia: La differenza principale è ben nota: ePub è un formato basato su un’impaginazione fluida, mentre la tipografia a stampa è basata sull’impaginazione fissa. L’impaginazione fluida permette di selezionare il font e la dimensione di carattere preferiti e di leggere lo stesso file su dispositivi di dimensioni diverse, adattando la pagina allo schermo, ma l’impaginazione fissa ha il notevole vantaggio di presentare la pagina anche come una sorta di ‘mappa’ geografica stabile, aiutando la memorizzazione. Quando leggiamo su carta, il nostro sguardo tiene sempre presenti gli angoli della pagina: li usa come punti di riferimento e ‘colloca’ il testo all’interno di quei confini; quando leggiamo in digitale tendiamo invece a scorrere il testo ‘a bandiera’, e questo non solo quando la pagina scorre in verticale ma, curiosamente, anche quando usiamo un layout paginato, a scorrimento orizzontale. Dobbiamo dunque migliorare la tipografia digitale, ad esempio integrando nel testo altre forme di riferimenti visivi che sostituiscano quelli offerti dall’impaginazione fissa. È quel che in parte si faceva nel mondo del manoscritto e delle prime edizioni a stampa attraverso capilettera e ‘maniculae’. Quali strumenti usare in digitale per raggiungere gli stessi risultati? Si tratta di un campo sul quale c’è ancora bisogno di parecchio lavoro, credo, e la tipografia digitale sta compiendo solo i primi passi. Va anche tenuto conto che i libri elettronici non sono (e non dovrebbero essere) necessariamente delle repliche digitali di un libro a stampa: hanno potenzialità aggiuntive (in termini di interattività, integrazione di codici comunicativi diversi, uso di animazioni e di strumenti di visualizzazione dei dati…) che dobbiamo ancora imparare a sfruttare e a gestire dal punto di vista grafico e tipografico.
ELR: In un tuo recente articolo hai affrontato i temi della promozione della letteratura digitale e della promozione digitale della lettura facendo un accenno alla tecnologia della realtà aumentata (Augmented Reality). Secondo te come si svilupperà la tecnologia degli ebook e come cambierà il modo di diffusione del sapere?
Gino Roncaglia: Attenzione: non parlo in primo luogo di realtà aumentata ma di lettura aumentata. La lettura aumentata è quel che fa già ciascuno di noi quando accompagna la lettura di un libro (non importa se su carta o in digitale) con la navigazione in rete, ad esempio per cercare un’immagine o una mappa dei luoghi di cui parla il libro, maggiori informazioni su un autore o su un personaggio storico, commenti e recensioni di altri lettori. La rete è già oggi una sorta di ‘spazio di espansione’ per la nostra attività di lettura. La realtà aumentata è invece una tecnologia specifica, certo assai interessante e di grande futuro ma meno direttamente connessa alla lettura, pur essendo ben possibile che anche applicazioni e strumenti di realtà aumentata possano essere utili. Ad esempio, attraverso l’uso dei QR code, che già oggi possono funzionare come una forma di rimando diretto a risorse di rete. I QR code possono così essere stampati all’interno di un libro tradizionale per includere contenuti on-line, o aggiunti dal lettore al libro attraverso etichette adesive o post-it.
Quanto agli sviluppi futuri degli e-book, è difficile fare previsioni. Penso però che servano soprattutto cinque cose: una tecnologia che sappia mettere insieme il meglio degli schermi OLED (video, colori brillanti, refresh veloce) ed eInk (lettura anche alla luce solare diretta, prevalenza della luce riflessa su quella emessa), un meccanismo più facile e meno invasivo di gestione dei diritti, buoni strumenti standard di annotazione anche con stilo, una buona disponibilità di strumenti di lettura standard anche per formati ‘ricchi’ come ePub3 e le sue evoluzioni (compresi i nuovi formati di pubblicazione ai quali sta lavorando il W3C), e più attenzione alla ricerca e all’innovazione da parte degli editori.
ELR: Quanto è importante conoscere le lingue di programmazione per creare degli e-book in formato EPUB? Che consigli daresti a coloro che vogliono iniziare a imparare a programmare?
Gino Roncaglia: Per creare e-book di tipo tradizionale non servono particolari competenze di programmazione (al massimo, per capire cosa succede, è utile sapere come funziona un linguaggio di marcatura come HTML, quali sono le componenti di un pacchetto ePub, e cosa sono i fogli stile: competenze certo tecniche, ma non troppo complesse). Se invece si vogliono aggiungere elementi interattivi e fare qualcosa di più originale è importante conoscere Javascript. E per padroneggiare Javascript serve sapere cosa sia un linguaggio di programmazione. Cosa peraltro utilissima a capire un po’ meglio i fondamenti del mondo digitale. È per questo che è importante introdurre nelle scuole pratiche come quelle del coding, che avvicinano fin dall’infanzia alla logica della programmazione.